lunedì 15 febbraio 2010

L’età del progresso è finita, è iniziata l’età della rivoluzione

"Iniziò nel rinascimento, divenne un’esuberante adolescente durante l’illuminismo, raggiunse una robusta maturità con l’età industriale e morì all’alba del XXI secolo. Per millenni e millenni non ci fu alcun progresso, ma solo cicli. Le stagioni si alternavano. Le generazioni andavano e venivano. La vita non migliorava, ripetendosi sempre secondo lo stesso identico modello familiare. Non c’era futuro, perché il futuro era indistinguibile dal passato. Poi sopraggiunse l’incrollabile certezza che il progresso non solo fosse possibile, ma addirittura inevitabile. Che le speranze di vita dovessero aumentare. Che i beni materiali si dovessero moltiplicare. Che la conoscenza dovesse crescere. Non c’era nulla che non potesse essere migliorato. La disciplina della ragione e i procedimenti deduttivi offerti dalla scienza sembravano potersi applicare a qualsiasi problema, dalla progettazione di un’unione politica sempre più perfetta alla disgregazione dell’atomo, alla costruzione di semiconduttori di una complessità sbalorditiva e di una qualità impeccabile. Eppure l’età del progresso di è rivelata un sorvegliante inflessibile – e mai come in questi ultimi tempi. I lavoratori di tutto il mondo hanno dovuto sottostare a una serie interminabile di programmi di efficienza, dal downsizing al reengineering, dai programmi di riduzione dei costi del dopo fusione alla pianificazione generale delle risorse, fino alla razionalizzazione della supply chain. Con lo sguardo fisso, hanno ripetuto il “mantra”: più in fretta, meglio e più a buon mercato. Si sono ritrovati a lavorare sempre di più in cambio di sempre meno. È la ricompensa per essere sopravvissuti ai tagli, all’outsourcing e alle ristrutturazioni che hanno così drammaticamente ridotto le dimensioni delle imprese dell’età industriale. La cosiddetta new economy avrebbe dovuto concederci una tregua dall’incrementalismo ottenebrante dell’età del progresso. Migliaia di lavoratori annoiati a morte hanno disertato le monotone, grandi imprese per salire sul carro delle start – up. Centinaia di incubatori di e-business sono stati creati nella speranza di moltiplicare il successo delle killer application. I consumatori, già altrimenti appagati, guardavano all’abbagliante orizzonte dei servizi e dei diversivi della new economy. E alla fine – una fine che, purtroppo, è arrivata abbastanza velocemente – la new economy si è rivelata uno stratagemma per vendere modelli di business premasticati a ingenui investitori e nuovi equipaggiamenti di IT a Ceo presi dal panico. Oggi stiamo varcando la soglia di una nuova era, quella della rivoluzione. Il cambiamento è cambiato. Non è più a carattere cumulativo e neppure si muove lungo una linea retta. Nel XXI secolo il cambiamento è discontinuo, il costo di una decodifica di un gene umano è crollato da diversi milioni a circa un centinaio di dollari. Il costo di memorizzazione di un megabyte è passato da centinaia di dollari a quasi zero. La banda larga è diventata una delle merci più a buon mercato. I flussi globali di capitale sono diventati un torrente impetuoso che erode la sovranità economica delle nazioni. Le strutture familiari sono state fatte a pezzi. Il capitalismo a pugni nudi ha battuto tutte le altre ideologie e un maremoto di deregulation e privatizzazioni ha spazzato il globo. Il Web ha preso rapidamente la forma di un’immensa matrice di connessioni tra le persone, le idee e le risorse dell’intero globo; ed è sempre stata la quantità e la qualità di queste connessioni a determinare il ritmo del cambiamento economico. Così come dal numero di neuroni e neurotrasmettitori dipende l’abilità cognitiva, da quello degli individui e delle interconnessioni tra loro dipende il ritmo dell’innovazione. Prima del Novecento, quando le persone e le comunità erano per la maggior parte isolate, l’innovazione procedeva a un ritmo impercettibile. Il panettiere del paese, il banchiere e il fabbro potevano scambiarsi i loro sogni in nuvole di fumo al pub, ma l’ambito ristretto delle loro esperienze e le scarse risorse cui potevano attingere ponevano un limite preciso al numero di cose che potevano inventare collettivamente. Poi vennero la nave a vapore, la ferrovia, il telegrafo, il telefono, la macchina e l’aeroplano. Idee e capitali cominciarono a circolare, a mescolarsi e a fondersi come non era mai avvenuto prima. L’innovazione iniziò ad accelerare il passo. E adesso, grazie a Internet che potrebbe mettere praticamente ogni essere umano in connessione con ogni cosa del mondo, il numero di possibili combinazioni può spiccare il volo. Il Web sta diventando rapidamente l’intelligenza collettiva dell’umanità. E non c’è modo di prevedere cosa sarà in grado di ideare. Le forze del cambiamento e dell’innovazione non procedono più a lunghi passi. Sono diventate un’orda violenta e inarrestabile che calpesta e travolge, al suo passaggio, chiunque vorrebbe gettare un’occhiata al passato. Detto in parole semplici, siamo sull’orlo di un passaggio di fase in cui l’evoluzione economica diventa rivoluzione perpetua. Oggi viviamo in un mondo di cambiamento continuo, senza fasi di equilibrio tra un punto e l’altro. Per sopravvivere in questa nuova era, ogni uomo e ogni impresa dovranno essere agili e versatili come il cambiamento stesso. Tra il 1994 e il 2000, il numero di telefoni cellulari venduti annualmente è esploso da 26 a circa 400 milioni di esemplari. Nello stesso tempo, la tecnologia da analogica si è trasformata in digitale. Motorola, che sino al 1997 è stata leader mondiale nel mercato dei cellulari, si è attardata a passare alla tecnologia digitale di un anno o due. Nell’arco di questo breve frangente, Nokia, una società fino allora sconosciuta, è diventata il nuovo numero uno mondiale. Un decennio prima Nokia costruiva pneumatici da neve e stivali di gomma. Per Motorola, ritornare sul trono sarà una fatica colossale. Come l’era dei Lumi scalzò il potere temporale della Chiesa, così l’età della rivoluzione minerà l’autorità delle imprese industriali dominanti nella sfera commerciale. I rivoluzionari dell’industria sfrutteranno qualsiasi barriera protettiva, ogni esitazione da parte dell’oligarchia. Ogni tentativo di opporti ai cambiamenti, di ripiegare e raggrupparsi, o di svincolarsi, verrà sfruttato come opportunità per rivendicare più spazi. Prima i rivoluzionari sottrarranno i mercati e i clienti. Poi i rivoluzionari sottrarranno i migliori lavoratori. L’unico limite è l’immaginazione!!! Il gap tra ciò che oggi può essere immaginato e la sua realizzazione non è mai stato così ridotto. Non si tratta di essere arrivati alla “fine della storia”, come direbbe Francis Fukuyama: abbiamo infatti sviluppato la capacità di interrompere la storia, di sfuggire all’estrapolazione lineare di ciò che è stato in passato. Ciò che abbiamo ereditato non coincide più con il nostro destino. In un mondo non lineare, solo le idee non lineari creeranno nuova ricchezza."
Gary Hamel - Leader della rivoluzione
Ritengo che le frasi riportate in questo post, riprese dal libro di Gary Hamel, siano assolutamente veritiere e, se applicate ad un modello di economia sostenibile, possano superare il modello economico capitalista. Ma la classe dirigenziale e la casta politica sono o saranno in grado di applicarlo?

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